Skip to main content
Giu 23, 2023

Tutti schiavi

Di Cristian Nani, direttore di Porte Aperte in Italia

BEATI GLI AUDACI PARTE 3

Nel 61 d.C., all’incirca nel periodo in cui Paolo scriveva a Filemone, un prefetto di Roma, Pedanius Secundus, fu ucciso da uno dei suoi schiavi. Secondo l’usanza romana, ciò significava che tutti gli schiavi della sua famiglia dovevano essere giustiziati: erano 400 tra uomini, donne e bambini. Il popolo si sollevò contro questa sentenza e il Senato fu preso d’assedio. Ma all’interno del Senato, un senatore di nome Gaio Cassio sostenne che dovevano essere giustiziati: “Chi sarà al sicuro se nemmeno un prefetto lo è?” e aggiunse: “Erano 400 e non l’hanno difeso da uno?”1. Alla fine, vennero condotti a morte e Nerone tappezzò di soldati l’intero percorso per evitare tumulti.

Chi era al potere viveva nella paura che gli schiavi si ribellassero perché di molto superiori in numero; gli schiavi vivevano nella paura di essere messi a morte, una morte terrificante: la crocifissione, questo li attendeva.

La crocifissione era infatti la morte riservata agli schiavi e ai criminali stranieri. Era il terrore della crocifissione che manteneva gli schiavi obbedienti. Una grande ribellione del II secolo a.C. fu sedata facendo crocifiggere 6.000 schiavi lungo le strade principali di Roma.

Strade tappezzate di gente crocifissa. Nessuno di noi, oggi, è in grado nemmeno di immaginare un orrore simile.

Quando pensiamo alla chiesa degli Atti, va ricordata una cosa: il fondatore, Gesù il Cristo, era morto da schiavo agli occhi del mondo. Il re servo che regna da una croce. La notte precedente si era comportato come uno servitore gentile, togliendosi i vestiti e lavando i piedi ai suoi discepoli. Nello stesso periodo della morte del prefetto, a Roma, Marco iniziò a scrivere il suo Vangelo. Egli raccontò una storia in cui Gesù disse ai suoi discepoli che “…chiunque vorrà essere grande fra voi, sarà vostro servitore; e chiunque, tra di voi, vorrà essere primo sarà servo di tutti” (Marco 10,43-44). Questo principio fu ripreso dalla Chiesa primitiva e persino trasformato in canti nei suoi incontri. In una lettera scritta dal carcere di Roma ai Filippesi, si dice che Paolo citi proprio uno degli inni della Chiesa primitiva quando scrive: Abbiate in voi lo stesso sentimento che è stato anche in Cristo Gesù, il quale, pur essendo in forma di Dio, non considerò l’essere uguale a Dio qualcosa a cui aggrapparsi gelosamente, ma spogliò sé stesso, prendendo forma di servo, divenendo simile agli uomini… (Fil 2,5-7)

Uno dei motivi per cui la Chiesa primitiva non parlò molto di rifiuto della schiavitù è che si consideravano tutti schiavi.

Alcuni erano veri schiavi convertiti; ma sorprendentemente, alcuni addirittura scelsero di diventare schiavi. In una missiva del primo secolo, scritta da Clemente, leggiamo la prova che alcuni cristiani di Roma si erano venduti come schiavi per sfamare i loro compagni. Leggo:

Sappiamo che molti di noi si sono consegnati alla schiavitù per riscattare altri. Molti si sono venduti alla schiavitù e, ricevendo il prezzo pagato per loro stessi, hanno nutrito altri.

Chi, sano di mente, avrebbe scelto volontariamente la schiavitù? Gli schiavi erano merce. Venivano perfino scaricati, come rottami di automobili. Per evitare di prendersi cura di schiavi malati o esausti, i proprietari li scaricavano sull’isola di Esculapio, nel Tevere a Roma. Ne venivano abbandonati così tanti che Claudio fu costretto a decretare che se qualcuno si fosse ripreso, avrebbe ricevuto la libertà.

Paolo e tutta la Chiesa primitiva consideravano la servitù parte della loro vocazione. Non era tanto uno status fisico, ma uno status spirituale, un radicale modus vivendi, un audace donarsi da ricercare nella loro fede quotidiana.


1 La questione per questo senatore era aggravata dalla presenza di schiavi stranieri tra loro: “Ora che tra le nostre mura domestiche ci sono stranieri con costumi diversi dai nostri, con religioni aliene o del tutto assenti, non riuscirete a tenere a freno una tale marmaglia se non con la paura”.