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Dic 11, 2020

La Chiesa: fortezza o arca?

(Tratto dal libro Fango – Vivere una fede pericolosa, che puoi acquistare QUI)

L’Italia è oggi un paese molto conservatore.  

Ormai questa espressione è entrata nel gergo popolare. E’ strano per un popolo abituato alle diversità, alle scoperte, alle invenzioni e all’arte definirsi “chiuso e conservatore”. Ma è così. E la Chiesa subisce l’influenza della cultura in cui è inserita: chi pensa il contrario, non ha mai messo mano a un libro di sociologia o non ha mai analizzato il contesto italiano al di fuori della propria realtà di chiesa.  

Uno dei grandi punti di forza del cristianesimo è la capacità di esistere e diffondersi in tutti i contesti culturali.  

Pur promuovendo valori capaci di modellare cuori e menti, esso si diffonde aprendosi alla cultura dominante. In che modo altrimenti potrebbe influenzarla? Chiudendosi? Sinceramente non credo. La chiusura è per definizione assenza di comunicazione e quindi assenza di influenza. La potenza del Vangelo e dei principi in esso contenuti contagia la cultura dominante, letteralmente trasformando le anime che lo accolgono, là nella cultura in cui vivono.

==>> Non sto affermando che il cristianesimo si pieghi lasciando alterare il proprio DNA dalla cultura del paese in cui si diffonde. Certo è successo nel corso della storia ed è stato un disastro. Sto al contrario affermando che il cristianesimo influenza e trasforma la cultura dominante nelle menti e nei cuori delle persone, e che per farlo ha bisogno di vivere in quella cultura.

Nella storia umana purtroppo la Chiesa non ha saputo sempre cogliere il flusso redentivo del progetto divino di salvezza per l’umanità[1]. In questo flusso, Dio ha comandato e permesso alcune cose, così come in Cristo molte si sono compiute e molte altre invece si compiranno. In questo flusso, perciò, la Chiesa può affrontare la sfida del fare discepoli di Cristo in 2 modi:

  • costruendo fortezze (sociali, teologiche) per ripararsi dal veloce declinare degli eventi, oppure
  • costruendo arche (sociali, teologiche) capaci di fluire con la corrente del divenire divino[2].

Il concept della FORTEZZA è semplice: sicurezza, comodità, protezione esclusiva, chiusura al diverso, rifiuto dell’ignoto, ne sono elementi essenziali, per poi “invitare il mondo a vedere” il nostro Dio dentro le chiese.

In questa chiesa-fortezza ci sentiamo comodi, al sicuro, indisturbati e zelanti, la nostra fede risponde alle nostre esigenze e la chiesa è sostanzialmente figlia del tempo in cui vive: anche se si definisce distante od opposta alla cultura dominante, in realtà ne è profondamente influenzata, e paradossalmente si presenta al mondo chiusa, sterilizzata, fobica nella sua paura del “là fuori” e, soprattutto, incapace di cogliere i cambi di corrente del flusso redentivo. Una chiesa così resiste ad ogni cambiamento, non cresce ma semplicemente diventa vecchia[3]. La storia lo dimostra. 

Il concept dell’ARCA invece è diverso: avventura, scomodità, vulnerabilità inclusiva, apertura al diverso e approccio all’ignoto ne caratterizzano la struttura, per poi “raccontare al mondo” il nostro Dio fuori dalle chiese.

In questa chiesa-arca ci sentiamo in movimento, a volte scomodi, vulnerabili, “come pecore in mezzo ai lupi” direbbe Qualcuno, la nostra fede si interroga sulle esigenze degli altri e la chiesa è sostanzialmente profeta di tempi a venire, capace di fluire nel flusso redentivo. Una chiesa così è per esempio incapace di essere razzista, piuttosto è istintivamente aperta, vulnerabile (come il Dio che si rende uomo) e partorisce figli in grado di scrivere magnifiche follie visionarie come questa: “Non c’è qui né Giudeo né Greco; non c’è né schiavo né libero; non c’è né maschio né femmina; perché voi tutti siete uno in Cristo Gesù” (Ga 3:28)[4]. Colui che la scrisse, l’apostolo Paolo, era di certo un tipo di cristiano proteso a conoscere la cultura dominante del luogo dove si ritrovava; ne leggeva i poeti e gli scrittori, che erano, per così dire, gli influencer del tempo, dei pagani spesso dissacranti e osceni per un seguace di Cristo: ma Paolo non temeva le loro parole, poiché la Parola che lui portava era molto più potente.

Come cristiani italiani, dovremmo prendere atto che in quest’epoca storica siamo inseriti in una cultura conservatrice, turbata dal diverso, tesa ad avvilupparsi su se stessa, a invecchiare più che a crescere[5], il luogo perfetto per far scappare i più giovani.

Il nostro cristianesimo è così?

La chiesa è sempre stata un’arca aperta ad ogni “animale” in circolazione: da quando l’abbiamo trasformata in una fortezza?


[1] Macchiandosi persino di razzismo, sorretto da interpretazioni puntuali di selezionati passi biblici. E no, naturalmente, non mi riferisco alla sola Chiesa Cattolica, ma anche al mondo protestante. In epoche di migrazioni, confesso, ho il timore che potremmo riscoprire questa terribile deriva.

[2] Il concetto della fortezza e dell’arca l’ho presentato per la prima volta in un articolo della rivista Con Voi (nov 2017).

[3] E accarezzando il tema razzismo, fammi dire che una chiesa così è capace di essere razzista e discriminatoria. Magari nei confronti di altre realtà cristiane. Anche questo la storia lo dimostra. Una delle grandi fonti di persecuzione anti-cristiana nella storia della Chiesa è stata il cristianesimo stesso. “Si possono conoscere le parole di Dio contenute nelle Scritture, si possono citare e spiegare con competenza, si possono addirittura insegnare agli altri, eppure, nel contempo, restare in una situazione di totale cecità o sordità, manifestazioni della sklerokardía, della callosità del cuore che impedisce di discernere la presenza dell’azione di Dio”, afferma il saggista E. Bianchi.

[4] Forse è la prima volta nella letteratura dell’umanità intera che appare una dichiarazione di questo tipo, qualcosa che dopo 2000 anni non riusciamo ancora a implementare, tale è la sua portata idealistica.

[5] E la statistica è brutale nel confermare questo: siamo un paese sempre più vecchio, che castra i giovani e resiste alle novità.