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Ott 15, 2021

La gioia del cibo

Di Cristian Nani

È stata mia moglie Elena a farmi scoprire la gioia e la poesia del cibo. Ed è stata poi la missione, Porte Aperte, a farmi approfondire ancor di più questo vitale elemento, facendomi saggiare culture e cibi profondamente diversi dai miei: impossibile nel campo missionario non accettare gli inviti dei fratelli e delle sorelle perseguitati che condividono con gioia il poco che avevano!

Il cibo, come lo si prepara, lo si serve e lo si mangia caratterizza l’uomo di ogni latitudine. E persino questo nella vita del cristiano può assumere una dimensione “più elevata”.  

Dalla Chiesa primitiva ad oggi, i discepoli di Cristo hanno visto la poesia nel cibo e specialmente in quel pasto centrale per la vita della chiesa che chiamiamo cena del Signore. Perché Gesù ha scelto proprio del pane e del vino per “personificarlo”? Nella Chiesa primitiva si diceva che fu proprio perché noi esseri umani siamo come piccoli granelli di farina: individuali ed inclini a disperdersi. La farina, tuttavia, sotto l’influenza dell’acqua diviene, anzi si eleva a unità, diventando pane. L’uva, allo stesso modo, quando viene spremuta, si eleva a un’unità nel bicchiere di vino. Così, noi siamo granelli di farina, veniamo legati insieme nell’acqua viva di Cristo (Gio 4:10), e insieme diventiamo il corpo del Signore. E come il pane e i discepoli nella cena del Signore, siamo scelti, spezzati, benedetti e donati.

==>> Gli antichi cristiani ci ricordano che ci sono due modi di guardare il mondo: l’appetito o l’apprezzamento. Per vedere la poesia nel cibo dobbiamo elevarci dall’appetito all’apprezzamento, dicevano. Perché il primo, l’appetito, è una specie di modo animale di vedere le cose: si concentra su di me, sulla mia fame, i miei bisogni, i miei desideri e i miei piaceri. Mentre il secondo, l’apprezzamento, è un modo di vedere meno animale e più umano, più simile a una creatura fatta a immagine di Dio, che dimentica il sé e presta invece attenzione a qualcosa di amato o visto come buono. L’appetito ingoia, l’apprezzamento gusta. I cristiani della Chiesa primitiva ne parlavano perché il cibo era ancora percepito come un dono di Dio: di certo non ne avevano a disposizione tanto come noi oggi in Italia. Andava apprezzato, gustato davanti a Dio.

Per molti cristiani nel mondo il cibo è un bene raro, purtroppo a volte scarso, come chi è veramente straniero nella propria terra: penso ai fratelli e sorelle profughi e sfollati in vari paesi dell’Africa. Per loro è un dono di Dio quando il cibo arriva, e voglio ringraziare tutti coloro che sostengono questa missione, perché insieme abbiamo potuto essere lo strumento di Dio che porgeva loro quel dono.

Perché la loro visione del mondo possa elevarsi dall’appetito all’apprezzamento, quel cibo non può mancare dalle loro tavole, altrimenti saranno provati dalla fame e dai bisogni primari. E perché ciò sia possibile, la missione costruisce da anni solide reti per stare al loro fianco a lungo termine, per fare in modo che la Chiesa fiorisca, si elevi come il corpo di Cristo scelto, spezzato, benedetto e donato per il mondo.