Uno sguardo dall’interno all’eredità di Fratello Andrea
Di Cristian Nani – pubblicato su LOCI COMMUNES
Il fatto che molti siano rimasti sorpresi dalla morte di Fratello Andrea, noto evangelista e fondatore di Porte Aperte/Open Doors, è spiegabile con una semplice asserzione: da tempo aveva passato il testimone.
Per molti “il contrabbandiere di Dio” aveva già concluso la corsa, per così dire, dato che di lui poco si sentiva parlare. Comprensibile, ma indicativo di una cultura della transizione insita nella missione Porte Aperte, che lo stesso Fratello Andrea ha contribuito a instaurare. Da 15 anni servo in questa opera, da 7 come direttore, e passare il testimone è certamente un elemento chiave dell’eredità di Andrea, in parte derivante dal focus di questa missione, ossia i più perseguitati nei luoghi più ostili al Vangelo, focus che in sé produce un ricambio “naturale” nella leadership, se non altro perché la persecuzione se ne porta via svariati, in carcere o nella tomba. Tuttavia, in parte questa cultura deriva anche da un’intenzionale ricerca del senso biblico del nostro servizio (sempre a tempo, sempre parziale, sempre un dono), del costo del discepolato (insostenibile da soli e collocato oltre le nostre aspettative) e della volontà di Dio (per noi, per chi serviamo, per la Chiesa globale), ricerca che ha spinto la leadership di Porte Aperte a concepire strategie di sviluppo del ministero sempre collegate a chiari piani di successione. Perché passare il testimone non è un evento, è un processo, ambito e pianificato.
==>> Negli anni 2000, Fratello Andrea iniziò l’elaborazione di un piano di successione che coinvolse tre amici coinvolti da decenni nell’opera, Johan Companjen (presidente Open Doors International – ODI), Sealy Yates (presidente ODI Board) e Deryck Stone (consigliere ODI Board) e sfociò nell’elaborazione dei sette valori fondanti di Porte Aperte: 1) facciamo parte del Corpo di Cristo: persone volte ad altre persone; 2) siamo guidati dalla Chiesa perseguitata; 3) siamo persone della Bibbia; 4) siamo un popolo di preghiera; 5) viviamo e lavoriamo per fede; 6) siamo devoti a Gesù Cristo e al Suo mandato; 7) siamo motivati esclusivamente dalla gloria di Dio. Il chiaro intento fu quello di fissare irremovibili pilastri biblici che avevano – e avrebbero – modellato la nostra azione missionaria, il “come” avevamo fino a quel momento e avremmo da quel momento in poi servito Dio attraverso quest’opera. Un profondo e intenzionale lavoro di trasmissione di questi valori e della visione venne implementato e continua tutt’oggi al fine di modellare la cultura, la leadership – e non solo – di questa missione.
Un altro elemento meno conosciuto dell’eredità di Fratello Andrea attiene all’elaborazione di una teologia del rischio in continua evoluzione, frutto dello sforzo di adattare la missione a contesti instabili e fortemente volatili, nel tentativo di andare dove nessuno vuole andare. Personalmente, quando ho iniziato il mio servizio in questa bellissima opera avevo un’idea delle missioni, avevo un certo equilibrio emotivo, avevo un chiaro percorso teologico, avevo sicure (prevedibili) relazioni e non affrontavo nessun rischio fisico. In ogni area della mia vita sono stato provato, scosso e posto di fronte a un bivio (e lo sono ancora), oltre ogni mio desiderio di stabilità, sicurezza e riposo. Operare in contesti drammatici come quelli di persecuzione, spinge verso situazioni complesse spesso prive di soluzioni, espone a conflitti interiori ed esteriori, induce a camminare in territori fisici e spirituali pericolosi, in tre parole: spinge a rischiare. “Don’t choose what pleases you. Please the One who chooses you!”, sfidava spesso Fratello Andrea, o ancora: “Nel Grande Mandato, Gesù ha detto Andate e fate discepoli, non ha detto Andate e tornate, ciò significa che potreste non tornare”. Nella pratica, nei luoghi più ostili al Vangelo ha spesso significato non cedere alla tentazione di far coincidere la teologia del rischio con quella della sofferenza: nell’esperienza sul campo – così come nelle Scritture – esse non coincidono, la prima fa parte della seconda, ossia il sì a Cristo sia totale e senza riserve, ma il rischio è situazionale e va ragionato strategicamente, caso per caso, con le persone in gioco, potenzialmente fino alle più estreme conseguenze, fino alla croce.
Andrea era un radicale per Cristo, ha vissuto per Lui ed è morto in Lui, il che è sempre stato il suo sogno. Il noto pastore e autore David Platt titolò il suo primo e forse più grande successo “Radical” dopo aver sentito la risposta di un anziano fratello Andrea alla domanda “nella tua vita cosa avresti fatto diversamente?”: “Avrei voluto essere più radicale per Cristo”. Ma in Porte Aperte questa risposta non è mai stata uno slogan ad effetto, ha sempre corrisposto a una precisa e ponderata decisione per Cristo in tutte le circostanze, anche le più terribili.