“Non c’è sacrificio che valga la pena se non offre un beneficio immediato”, sembra essere la filosofia che regna nella nostra società, per questo non ha senso parlare di investire nella prossima generazione, perché “che cosa me ne viene, a me, oggi?”
Paura, apatia e pigrizia sono emozioni tossiche che sembrano invadere le menti di molti, anche cristiani, acuite dal Covid. Pur comprensibili, per alcuni aspetti per noi cristiani possono tramutarsi in totale mancanza di fede nel Dio sovrano che andiamo predicando con elaborate esegesi bibliche. È come se la cultura di questo mondo ci influenzasse molto di più della cultura del Regno di Dio che siamo chiamati a costruire. È come se, a causa delle sfide dell’epoca che viviamo, avessimo accantonato l’idea di sacrificio, di costruire per coloro che verranno, abbracciando una vita (anche di chiesa) che è solo e tutta “qui e adesso”. E, possiamo dirlo a voce alta, uno dei segni visibili di tutto questo è il disimpegno da Dio, manifestato anche (ma non solo) in un fare progetti solo per sé e pochi intimi, enfatizzando la fede personale (magari virtuale e su misura) e disinteressandosi per quella comunitaria, guardando il prossimo con sospetto e la chiesa con fastidio.